Luca Talotta
20 lug 2025
Milano, la capitale europea dell’innovazione, della moda, del design. Ma anche capitale delle buche, delle cadute, delle ruote distrutte, delle sospensioni saltate e degli scooteristi finiti in ospedale. Nel solo 2023, il Comune ha ricevuto oltre 2.000 richieste di risarcimento danni legati alla manutenzione delle strade. Risultato? Appena 39 domande accolte. Il 2%.
I numeri non mentono: 98 cittadini su 100 che hanno provato a far valere i propri diritti sono stati respinti, ignorati o rimbalzati. Non perché raccontassero storie inventate, ma perché l’istituzione ha costruito un sistema studiato per scoraggiare chi cerca giustizia.
C’è chi ha forato una gomma a causa di una buca profonda. Chi ha perso il controllo dello scooter. Chi si è fatto male inciampando su marciapiedi sconnessi. Ma per il Comune tutto questo non è mai abbastanza. Non bastano i verbali della Polizia Locale, non bastano le foto, non bastano i referti medici o i preventivi del carrozziere.
La strategia è chiara: resistere, negare, temporeggiare, e se proprio costretto, scaricare le colpe. Come? Addossando la responsabilità a soggetti terzi: chi gestisce la rete gas, chi effettua lavori per conto di aziende pubbliche o private. E così il cittadino resta schiacciato tra l’incudine del danno subito e il martello della burocrazia che lo respinge.
Di fronte all’arroganza istituzionale, l’unica via percorribile diventa quella legale. Ma non tutti possono permettersela. Eppure, nei casi in cui il cittadino ha deciso di rivolgersi a un avvocato e portare il Comune in giudizio, spesso ha vinto. Perché? Perché il Comune sa di avere torto. Ma non vuole creare precedenti, teme che ammettere un errore significhi dover pagare centinaia di altri risarcimenti.
E allora meglio pagare in silenzio, dopo una sentenza, ma mai ammettere colpe a monte. Un comportamento da ente privato che difende i propri interessi, non da istituzione pubblica che dovrebbe tutelare la collettività.
Le strade di Milano, oggi, sono un campo minato. Lo sa chi guida ogni giorno, lo sanno i tassisti, i rider, i motociclisti e gli automobilisti. Trappole d’asfalto disseminate ovunque: dal centro ai quartieri periferici. Non è una novità, ma è diventato un problema sistemico.
Nel 2023 il Comune ha speso decine di milioni in “manutenzione”, eppure la qualità percepita delle strade peggiora. Dove finiscono quei soldi? E soprattutto: perché non si riesce a prevenire? Perché si aspetta che il danno avvenga? Perché i cittadini devono rischiare la vita o spendere centinaia di euro per danni ai veicoli prima che si intervenga?
Il cittadino è obbligato a rispettare il codice della strada. Ma chi obbliga l’ente pubblico a rispettare le proprie responsabilità? L’articolo 2051 del Codice Civile parla chiaro: chi ha in custodia una cosa (in questo caso la strada) ne risponde dei danni che causa. Ma la realtà è ben diversa.
Il Comune sfrutta la propria forza, le proprie risorse legali, il tempo e la burocrazia per scoraggiare qualsiasi richiesta. E lo fa con freddezza, come dimostrano le statistiche: solo il 2% dei risarcimenti accettati è un insulto, non solo al buon senso, ma anche alla giustizia.
In conferenze stampa, interviste e documenti ufficiali si parla di mobilità sostenibile, rigenerazione urbana, smart city, benessere dei cittadini. Ma la realtà è un’altra: milioni di euro in progetti futuristici mentre le strade restano pericolose e malridotte. Milano vuole insegnare all’Europa come si gestisce una metropoli, ma non riesce neanche a tappare le buche in viale Monza.
Chi guida oggi a Milano rischia. Rischia ogni giorno. E quando qualcosa va storto, viene lasciato solo. La risposta deve venire dai cittadini, dalla stampa libera e da chi ancora crede che la giustizia non sia solo un’utopia da aula di tribunale. Serve una mobilitazione vera. Serve raccontare le storie di chi ha subito. Serve mettere sotto pressione le istituzioni. Perché i diritti non si chiedono: si pretendono.
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