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Nuovi brand auto in Italia: l’ascesa dei marchi orientali cambia il mercato

Luca Talotta
Pubblicato il 17 novembre 2025, 16:14
Il mercato automobilistico italiano sta vivendo una trasformazione che non ha precedenti nella sua storia recente. Tra il 2021 e il 2025 sono arrivati 21 nuovi brand auto in Italia, per il 90% di origine o proprietà cinese, e le proiezioni indicano che entro il 2028 i marchi emergenti supereranno quota 30. Un cambio di scenario che riscrive gli equilibri di un settore a lungo dominato dai costruttori europei e che riflette la velocità con cui l’innovazione tecnologica e la transizione elettrica stanno modificando il panorama dell’auto.
A fare luce su questo fenomeno è la ricerca “Brand emergenti e nuovi orientamenti di dealer e consumatori nel settore automotive”, realizzata da Quintegia e presentata da AutoScout24 insieme a MY PR, società specializzata in comunicazione e advisory reputazionale. Lo studio ha analizzato il ruolo dei nuovi marchi, la percezione dei consumatori e il punto di vista dei dealer italiani, delineando uno scenario di coabitazione più che di contrapposizione tra marchi tradizionali e nuove realtà orientali.
Italiani sempre più aperti ai marchi emergenti
I dati parlano chiaro: nel 2021 la quota di mercato dei nuovi brand era appena dello 0,4%, mentre ad agosto 2025 ha raggiunto il 6,6%, segno di un’accelerazione importante. Il 44% degli automobilisti italiani si dichiara oggi disposto a valutare l’acquisto di un’auto prodotta da un marchio emergente, con un aumento di tre punti rispetto all’anno scorso. La propensione cresce fino al 68% tra chi guida un’auto elettrica e raggiunge addirittura il 74% nella Generazione Z, quella più sensibile all’innovazione e al rapporto qualità/prezzo.
Tra i marchi più riconosciuti spiccano BYD, EVO, MG, Omoda & Jaecoo e Sportequipe, tutti brand che in pochi anni hanno costruito una presenza visibile grazie a strategie di prezzo aggressive, design accattivante e un posizionamento tecnologico forte. Il principale driver di scelta, infatti, è il rapporto qualità/prezzo, indicato dal 91% degli intervistati, seguito da tecnologia e innovazione (43%), con crescente attenzione ai temi della sostenibilità e della mobilità elettrica.
Nonostante l’apertura, restano però barriere di fiducia: il 69% degli intervistati ammette di non conoscere bene i nuovi marchi o di non fidarsi ancora pienamente, mentre il 39% cita dubbi su affidabilità e qualità e il 38% la scarsa capillarità della rete di vendita e assistenza.
I dealer tra prudenza e curiosità
Se i consumatori iniziano a fidarsi, i concessionari italiani mostrano un atteggiamento più pragmatico. Otto su dieci rappresentano ancora prevalentemente marchi storici, ma quasi la metà (46%) ha già inserito almeno un brand emergente orientale nel proprio portafoglio.
Le motivazioni sono concrete: il rapporto qualità/prezzo resta il principale vantaggio (80%), seguito dal potenziale di crescita (58%) e dall’investimento iniziale più contenuto (52%). Tuttavia, solo il 2% dei dealer considera l’autorevolezza del marchio un punto di forza dei nuovi brand, a fronte del 70% che lo attribuisce ancora ai costruttori tradizionali.
Il cliente tipo individuato dai dealer? Privati tra i 45 e i 59 anni, con reddito medio tra 1.200 e 3.500 euro al mese. Si tratta quindi di una fascia matura, attenta al prezzo e sensibile all’innovazione, ma non ancora rappresentativa del mass market. Segno che la penetrazione dei nuovi marchi procede, ma non è ancora mainstream.
Marketplace digitali e comunicazione: il vero terreno di sfida
La ricerca sottolinea il ruolo cruciale dei marketplace digitali come leva per consolidare la notorietà dei nuovi marchi. Il 74% dei dealer riconosce che portali come AutoScout24 contribuiscono a rafforzare la visibilità dei brand emergenti, il 56% ne apprezza la capacità di rendere identificabili i concessionari e il 52% sottolinea l’importanza della presenza online come fattore determinante per la fiducia.
Dove i nuovi player devono ancora crescere è sul fronte della comunicazione e del marketing. Solo il 10% dei dealer che lavorano con marchi emergenti considera queste attività un punto di forza, contro il 32% tra chi rappresenta brand tradizionali. Come spiega Giorgio Cattaneo, Presidente di MY PR, «molti brand orientali applicano strategie globali, senza adattarle ai singoli mercati. Per conquistare l’Italia serve conoscere le logiche locali, le abitudini dei consumatori e il linguaggio dei media».
La costruzione della brand equity, in altre parole, passa da una comunicazione efficace e radicata nel territorio, che vada oltre il prodotto e punti sull’identità e sulla fiducia. Senza questo passaggio, la competitività di prezzo e tecnologia rischia di non bastare.
Prezzi competitivi e SUV elettrici in prima linea
Dal punto di vista dell’offerta, i nuovi brand auto in Italia si concentrano soprattutto sui segmenti C e D, con SUV elettrici o ibridi plug-in che offrono dotazioni tecnologiche avanzate a prezzi inferiori del 20-30% rispetto ai costruttori europei più venduti. Le fasce di ingresso si collocano tra i 30.000 e i 60.000 euro, con design moderni, infotainment evoluto e spesso un posizionamento “premium accessibile”.
È la stessa formula che ha permesso al mercato cinese di crescere rapidamente anche in Europa: tecnologia, autonomia, digitalizzazione e un rapporto qualità-prezzo che punta a conquistare chi guarda all’elettrico ma non vuole spendere cifre esorbitanti.
Un equilibrio tutto nuovo per l’automotive italiano
Come sottolinea Gioia Manetti, CEO di AutoScout24 Italia e AutoProff Italy, il nuovo scenario non va letto come una contrapposizione ma come una coabitazione strategica: «I nuovi marchi non sono necessariamente competitor dei costruttori storici, ma possono rafforzare il mercato, portando innovazione, concorrenza e stimolando l’intero settore».
In questo senso, il mercato italiano sta diventando un laboratorio in cui si misurano non solo modelli e tecnologie, ma anche strategie culturali e reputazionali. Chi saprà adattarsi alle dinamiche locali e costruire fiducia, potrà davvero competere. Perché la mobilità di domani, più che una questione di potenza o prestazioni, sarà una sfida di percezione, credibilità e connessione con le persone.
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