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Un bambino urta un camion in sosta vietata su una ciclabile: la multa arriva a lui. Una vicenda paradossale che fa discutere e indigna
Luca Talotta
23 lug 2025
Succede a Lainate, ma potrebbe accadere ovunque in Italia: un bambino di otto anni, in sella alla sua bicicletta, percorre regolarmente la pista ciclabile del proprio quartiere e si ritrova improvvisamente davanti un camion parcheggiato in divieto di sosta. L’impatto è inevitabile. Il piccolo cade, si ferisce lievemente, il padre chiama le autorità per denunciare l’ostacolo e… riceve a casa una multa di 38,45 euro. Perché? Perché il figlio non avrebbe «mantenuto il controllo del mezzo», violando il codice della strada.
Una vicenda che lascia l’amaro in bocca, e che merita di essere raccontata perché dice molto, troppo, su come la mobilità dolce venga trattata in questo Paese. Soprattutto quando a subirne le conseguenze non sono automobilisti distratti o scooteristi incoscienti, ma un bambino. E allora, più che di sanzione, si parla di ingiustizia travestita da rigore normativo.
Il fatto è chiaro: il camion era parcheggiato in sosta vietata, su una pista ciclabile, un’infrastruttura pensata per garantire sicurezza e continuità a chi si sposta in bici, soprattutto ai più piccoli. Eppure, nella ricostruzione della polizia locale di Lainate, la responsabilità non si ferma lì. Non basta sanzionare chi ha lasciato l’autocarro in mezzo alla carreggiata ciclabile: bisogna anche multare il bambino, perché non avrebbe saputo «governare» il proprio mezzo.
Una logica che ribalta ogni principio di educazione stradale, ma soprattutto ignora il contesto: un bambino di otto anni non è – né può essere – responsabile come un adulto. Lo dice il buon senso, lo dice il codice civile, lo dice persino la psicologia dello sviluppo. Ma il codice della strada, evidentemente, può anche diventare più cieco del dovuto.
A difendere l’operato della polizia locale ci ha pensato il sindaco di Lainate, Alberto Landonio, che ha dichiarato: «Le regole vanno rispettate da tutti, anche dai bambini». Affermazione che, seppur formalmente corretta, rischia di alimentare una pericolosa idea di equivalenza tra responsabilità reali e formali. Perché se ogni azione deve avere una reazione, ogni reazione dovrebbe anche avere proporzionalità e senso educativo.
Punire un bambino in bicicletta, ferito e impaurito, invece di proteggerlo, manda un messaggio devastante: non importa quanto sei piccolo o vulnerabile, se finisci nei guai la colpa sarà anche tua.
La storia di Lainate è solo la punta dell’iceberg. In tutta Italia, le ciclabili sono sempre più spesso invase da auto, furgoni, camion, trattate come parcheggi temporanei da chi non ha voglia di cercare un posto legittimo. È una piaga che colpisce le grandi città come i piccoli centri, e che mina alla base l’efficacia delle politiche per la mobilità sostenibile.
Chi si muove in bici lo sa bene: ogni giorno è una sfida a schivare ostacoli, evitare portiere che si aprono all’improvviso, dribblare veicoli in doppia fila. Se poi anche in caso di incidente la colpa ricade su chi subisce, allora davvero qualcosa non torna.
La storia di questo bambino richiama alla mente altri casi simili. Ciclisti investiti e poi sanzionati, pedoni colpiti da veicoli e multati perché “non attraversavano sulle strisce”, famiglie con passeggini costrette a camminare in strada per l’occupazione abusiva dei marciapiedi. Casi che mostrano una tendenza preoccupante: invece di proteggere i più deboli, si tende a colpevolizzarli.
Una città che punisce i bambini che pedalano non è una città sicura. E se per un incidente causato da una violazione palese – il camion in divieto – la responsabilità viene spartita con la vittima, allora c’è un problema serio. Non di regole, ma di priorità.
La sicurezza stradale non si ottiene con multe automatiche o interpretazioni rigide del codice. Si costruisce con infrastrutture adeguate, controlli veri e sanzioni a chi mette in pericolo gli altri, non a chi lo subisce. La mobilità sostenibile non è uno slogan da convegni, è un diritto da garantire ogni giorno. E se un bambino che va in bici si schianta contro un camion dove il camion non dovrebbe essere, la reazione delle istituzioni dovrebbe essere: “Cosa possiamo fare per evitare che succeda di nuovo?”, non “Quanto gli dobbiamo far pagare?”.
Serve buon senso. Serve coraggio. E serve ricordare che le città a misura di bambino sono città migliori per tutti. Soprattutto per chi, ancora oggi, rischia di essere multato per aver fatto la cosa più naturale del mondo: andare in bici.
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